Per proporre la domanda di divorzio (o meglio di scioglimento del matrimonio o cessazione degli effetti civili ove contratto con rito religioso effetti concordatari) l’art. 1 L 898/1970 prevede che la separazione dei coniugi deve essersi protratta ininterrottamente da almeno 12 mesi in caso di separazione personale (da intendersi giudiziale) e da almeno 6 mesi in caso di separazione consensuale.
A volte capita che tra le parti sia ripresa la convivenza, più o meno breve, più o meno intensa, anche con la ripresa dei rapporti sessuali: ci si chiede in quali casi la ripresa della convivenza sia ostativa alla pronuncia di divorzio.
Sul punto la Cassazione – decidendo un caso in cui il marito all’uscita dal carcere era tornato ad abitare con la ex moglie – ha avuto modo di precisare che la convivenza che porti ad annullare gli effetti della separazione, non deve essere temporanea e deve aver portato alla ricostruzione del preesistente vincolo coniugale nella sua essenza materiale e sprituale.
“Nella disciplina della cessazione degli effetti civili del matrimonio, il pregresso stato di separazione tra i coniugi (concretante un vero e proprio requisito dell’azione, L. n. 898 del 1970, ex art. 3, comma 2) può legittimamente dirsi interrotto nel caso in cui si sia concretamente e durevolmente ricostituito il preesistente nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali sì da ridar vita al pregresso vincolo coniugale, e non anche quando il riavvicinamento dei coniugi, pur con la ripresa della convivenza e dei rapporti sessuali, rivesta caratteri di temporaneità ed occasionante (principio affermato dalla S.C. con riferimento ad una vicenda di riavvicinamento coniugale concretatosi nel semplice ripristino della convivenza per un limitato periodo di tempo in conseguenza dello stato di detenzione domiciliare del marito)” (Cass. sentenza n. 1227 del 04/02/2000 – cass 27386/14)
Ciascun caso di ripresa della convivenza va quindi analizzato per verificare la sussistenza o meno dei requisiti sopra indicati.