Durante le cause di divorzio si litiga spesso sull’assegno richiesto da uno dei due ormai ex coniugi: esaminiamo in breve quali siano le norme ed i criteri da tener presenti per determinare se sia dovuto o meno un assegno divorzile.
In tema di divorzio, l’art. 5 c.6 L. 898/1970 dispone: “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
La giurisprudenza ha il più delle volte ritenuto di applicare un automatismo tra le somme versate al coniuge in fase di separazione e quelle da versarsi dopo il divorzio benché le norme di riferimento non siano identiche.
Per la separazione infatti l’art. 156 CC recita: “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato””.
Per un corretto giudizio sulle eventuali somme – periodiche o una tantum – da versare al coniuge divorziato occorre dunque valutare in primo luogo le condizioni del coniuge richiedente l’assegno, verificando, per esempio, se “l’età della donna, la mancanza di una qualche formazione professionale e le particolari condizioni del mercato del lavoro consentano di ritenere inesistente una concreta possibilità di reperire un’occupazione lavorativa” Cass. Sex. VI 17/10/16 n. 20937.
Ed ancora: “La mera attitudine al lavoro del coniuge che richiede l’assegno non è sufficiente, se valutata in modo ipotetico ed astratto, a dimostrare il possesso di un’effettiva capacità reddituale, dovendosi tener conto delle concrete prospettive occupazionali connesse a fattori di carattere individuale ed alla situazione ambientale, nonché delle reali opportunità offerte dalla congiuntura economico sociale in atto”. Cass. civile, sez. VI, 04/04/2016, n. 6433
A parere di chi scrive occorre altresì valutare se e come l’ex coniuge abbia realmente cercato l’occupazione: sarà quindi onere della parte richiedente fornire adeguata prova di tale ricerca o della parte che contesta il diritto, evidenziare tale ricerca sia stata insufficiente.
Altro aspetto da valutarsi è la consistenza patrimoniale dei coniugi: “In sede di divorzio, ai fini della determinazione del relativo assegno, deve tenersi conto dell’intera consistenza patrimoniale di ciascuno dei coniugi e, conseguentemente, di qualsiasi utilità suscettibile di valutazione economica, compreso l’uso di una casa di abitazione, determinante un risparmio di spesa, salvo che l’immobile sia occupato in via di mero fatto, trattandosi, in tale ultima ipotesi, di una situazione precaria ed essendo le difficoltà di liberazione, da parte del proprietario, un aspetto estraneo alla ponderazione delle rispettive posizioni patrimoniali e reddituali“. Cass. civile, sez. VI, 11/01/2016, n. 223
Ove all’esito di tale prima indagine si riterranno sussistenti i presupposti per disporre un assegno divorzile, si valuteranno quindi gli altri elementi indicati dall’art. 5 L.898/1970 sopra indicato e quindi anche le condizioni del coniuge che verrà obbligato al versamento.
Avv. Luigi Giordano