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La diffusione capillare dei social network ha trasformato radicalmente il modo in cui le persone comunicano, condividono opinioni e si relazionano con gli altri. Tuttavia, la rapidità e la visibilità di queste piattaforme possono amplificare gli effetti di affermazioni offensive o lesive della reputazione altrui. La diffamazione online, in particolare sui social, è un fenomeno sempre più frequente che solleva importanti questioni legali: quando si configura il reato, quali sono i diritti della persona offesa e in quali casi è possibile ottenere un risarcimento del danno.

Cos’è la diffamazione secondo la legge italiana
L’articolo 595 del Codice Penale definisce la diffamazione come l’offesa all’altrui reputazione comunicata a più persone. Questo significa che perché ci sia diffamazione è necessario:

  • che l’offesa sia rivolta a una persona identificabile, anche indirettamente;

  • che l’offesa venga comunicata a più soggetti;

  • che il contenuto abbia natura offensiva, denigratoria o lesiva della dignità personale o professionale.

Quando la diffamazione avviene attraverso un mezzo di pubblicità, come la stampa o, per estensione, i social network, la legge prevede un aggravante, con pene più severe rispetto alla diffamazione semplice.

Social network come mezzi di pubblicità
La giurisprudenza italiana ha chiarito che i post e i commenti pubblicati su piattaforme come Facebook, Instagram, X (ex Twitter), TikTok o LinkedIn rientrano a pieno titolo tra i “mezzi di pubblicità”. Infatti, anche un semplice post pubblico può raggiungere centinaia o migliaia di persone in pochi istanti. Questo rende la diffamazione online particolarmente insidiosa, poiché la rapidità di diffusione e la difficoltà di rimuovere i contenuti amplificano il danno subito dalla vittima.

Non solo i contenuti testuali, ma anche immagini, meme, video o commenti apparentemente “ironici” possono integrare gli estremi della diffamazione, se idonei a ledere la reputazione altrui.

La differenza con l’ingiuria
Prima di proseguire, è utile chiarire la distinzione tra diffamazione e ingiuria. L’ingiuria, che consiste nell’offesa rivolta direttamente alla persona presente, è stata depenalizzata nel 2016 e oggi costituisce un illecito civile. La diffamazione, invece, resta un reato penale, perché l’offesa è rivolta a terzi e ha una portata più ampia. Nei social, ciò significa che se un utente insulta un altro in un messaggio privato, si può parlare di ingiuria civile; se invece scrive un post pubblico denigratorio, si configura la diffamazione.

Quando si può agire legalmente
La vittima di diffamazione sui social ha diverse strade:

  • Querela penale: entro tre mesi dall’offesa, la persona offesa può presentare querela contro l’autore del contenuto diffamatorio. In caso di condanna, sono previste sanzioni pecuniarie e, nei casi più gravi, la reclusione.

  • Azione civile per il risarcimento danni: la vittima può chiedere un risarcimento economico per i danni subiti alla propria reputazione, immagine e credibilità personale o professionale.

  • Richiesta di rimozione dei contenuti: è possibile sollecitare la piattaforma a eliminare i post offensivi, anche tramite provvedimenti cautelari del giudice.

La giurisprudenza riconosce che il danno da diffamazione online può avere natura sia patrimoniale (perdita di clienti, mancati guadagni, compromissione di rapporti professionali) sia non patrimoniale (sofferenza morale, ansia, umiliazione).

Le responsabilità degli amministratori di gruppi e pagine
Un aspetto interessante riguarda i gruppi e le pagine social. Gli amministratori possono essere ritenuti corresponsabili se non intervengono per rimuovere contenuti manifestamente diffamatori pubblicati dagli iscritti, specie quando tollerano o favoriscono la diffusione di commenti lesivi. Ciò evidenzia l’importanza di una gestione attenta delle community online.

I limiti della libertà di espressione
La libertà di espressione è un diritto costituzionalmente garantito, ma incontra un limite invalicabile: il rispetto della dignità e della reputazione altrui. Criticare un personaggio pubblico, un’azienda o un professionista è lecito, purché le opinioni siano espresse in modo civile e basate su fatti veri. Quando invece le affermazioni diventano offensive, infondate o volte esclusivamente a screditare, si entra nel terreno della diffamazione.

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che il diritto di cronaca e di critica devono rispettare tre requisiti: verità dei fatti, interesse pubblico alla diffusione della notizia e correttezza formale dell’esposizione.

Consigli pratici per le vittime di diffamazione online
Chi subisce diffamazione sui social dovrebbe:

  • conservare prove del contenuto offensivo (screenshot, link, timestamp);

  • evitare di rispondere con altri insulti, per non rischiare una controquerela;

  • rivolgersi subito a un avvocato specializzato per valutare l’azione più opportuna;

  • denunciare tempestivamente alla piattaforma, che in molti casi dispone di strumenti per segnalare e rimuovere i contenuti.

Agire in tempi rapidi è fondamentale, perché la permanenza online del contenuto accresce il danno subito.

La diffamazione sui social network non va sottovalutata: non si tratta di semplici “battute” o di sfoghi personali, ma di condotte che possono integrare un vero e proprio reato e generare conseguenze giuridiche pesanti per l’autore. Allo stesso tempo, per la vittima è importante conoscere i propri diritti e sapere che esistono strumenti legali per difendersi e ottenere giustizia.

In un’epoca in cui la reputazione è sempre più legata alla dimensione digitale, tutelarla diventa essenziale. Il diritto fornisce le armi necessarie, ma serve consapevolezza da parte degli utenti, affinché la libertà di espressione non degeneri in abuso.