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La trasformazione digitale ha cambiato radicalmente la nozione di patrimonio. Se fino a pochi anni fa l’eredità riguardava beni tangibili – immobili, denaro, titoli – oggi sempre più persone accumulano un vero e proprio patrimonio digitale, costituito da contenuti, dati e rapporti giuridici online. Questo solleva un interrogativo di crescente importanza: cosa succede agli account social, ai file conservati nel cloud, agli abbonamenti digitali o alle criptovalute quando il titolare muore?

Cos’è l’eredità digitale
Con “eredità digitale” si intende l’insieme dei beni e dei rapporti giuridici connessi alla sfera digitale di una persona. Essi possono avere:

  • Valore patrimoniale, come i wallet di criptovalute, i domini internet, i siti web, gli account PayPal, gli abbonamenti a piattaforme con credito residuo, i contenuti monetizzati su YouTube o Spotify.

  • Valore personale o affettivo, come fotografie conservate in cloud, archivi di email, conversazioni, profili social, documenti creativi o blog personali.

Entrambi questi profili generano problemi di trasmissibilità e gestione: mentre i beni patrimoniali sono tendenzialmente assimilabili ai beni tradizionali, i beni personali pongono limiti legati alla privacy e all’identità digitale.

Il quadro normativo in Italia
L’ordinamento italiano non prevede ancora una disciplina organica delle successioni digitali. Alcuni riferimenti utili sono però presenti:

  • L’art. 2-terdecies del Codice Privacy (d.lgs. 196/2003) consente agli eredi di esercitare i diritti del defunto in materia di dati personali, salvo che il de cuius non abbia vietato tale possibilità con dichiarazione scritta.

  • Il GDPR (Regolamento UE 2016/679) tutela i dati personali solo delle persone viventi, ma lascia agli Stati membri la possibilità di disciplinare i dati dei defunti. L’Italia, appunto, lo ha fatto con il citato art. 2-terdecies.

  • Le regole generali del Codice Civile in tema di successione si applicano ai beni patrimoniali digitali, purché abbiano un valore economico quantificabile.

Le regole delle piattaforme
Accanto al diritto statale, entrano in gioco le policy delle singole piattaforme digitali:

  • Facebook consente di trasformare un account in commemorativo o di designare un “contatto erede” che lo gestisca.

  • Google mette a disposizione lo strumento “gestore account inattivo”, che permette di stabilire a chi trasferire i dati dopo un certo periodo di inattività.

  • Apple ha introdotto la funzione “Legacy Contact” per consentire a persone fidate di accedere a dati e contenuti di un account iCloud dopo la morte.

Queste soluzioni, pur utili, mostrano un limite: restano regole unilaterali di provider privati, che non sempre coincidono con il diritto successorio nazionale.

Il testamento digitale
Proprio per superare l’incertezza, si è diffusa la prassi di predisporre un testamento digitale. Non si tratta di una categoria giuridica formalmente riconosciuta, ma di un insieme di disposizioni con cui la persona stabilisce in vita il destino dei propri beni digitali: chi potrà accedere, quali contenuti conservare o cancellare, come gestire i profili social.

Queste volontà possono essere inserite in un testamento tradizionale, oppure contenute in documenti separati, purché conformi ai requisiti di legge per avere efficacia giuridica.

Giurisprudenza e casi concreti
In Italia e all’estero sono emersi diversi contenziosi sugli account digitali dei defunti. Ad esempio:

  • Tribunali italiani hanno riconosciuto agli eredi il diritto di ottenere copia delle email o dei dati conservati nel cloud, qualificandoli come beni suscettibili di trasmissione.

  • In Germania, la Corte federale di giustizia ha stabilito che l’account Facebook di un minore deceduto dovesse essere trasmesso ai genitori come parte dell’eredità, equiparandolo a un diario personale.

  • Altri giudici, invece, hanno limitato l’accesso quando prevaleva la tutela della riservatezza di terzi coinvolti nelle comunicazioni.

Le criticità aperte
Le successioni digitali sollevano ancora vari problemi giuridici:

  • Distinzione tra beni patrimoniali e personali: se le criptovalute hanno un valore economico facilmente trasmissibile, le chat private pongono il problema della tutela della privacy dei soggetti coinvolti.

  • Territorialità delle norme: i provider hanno sede in Paesi diversi e applicano regole proprie, non sempre compatibili con le leggi nazionali.

  • Prova e accesso: senza password o strumenti di identificazione sicura, anche un bene digitale di valore può diventare di fatto irrecuperabile.

Come prevenire i conflitti
Chi possiede beni digitali rilevanti dovrebbe:

  • nominare in vita persone di fiducia tramite gli strumenti messi a disposizione dalle piattaforme (es. contatto erede di Facebook, gestore account inattivo di Google);

  • predisporre un testamento che includa disposizioni sui beni digitali;

  • conservare in modo sicuro, ma accessibile agli eredi, le credenziali di accesso (ad esempio con servizi di digital vault).

Conclusione

Le successioni digitali rappresentano una delle nuove frontiere del diritto civile. L’Italia ha mosso i primi passi con il Codice Privacy, ma manca ancora una disciplina completa. Nel frattempo, la responsabilità ricade sui singoli individui: chi vuole tutelare i propri eredi deve pianificare anche la sorte dei propri beni online. Solo così si evita che ricordi, dati e patrimoni digitali vadano persi o diventino fonte di conflitto.